Nota su sentenza per caporalato
Rispetto alla sentenza di primo grado del cosiddetto “processo Momo” che il Tribunale di Cuneo ha emesso lunedì 11 aprile, il Direttore della Caritas di Saluzzo, prof. Carlo Rubiolo così commenta:
La sentenza con cui il Tribunale di Cuneo ha condannato in primo grado quattro imprenditori agricoli per sfruttamento lavorativo ed un bracciante per intermediazione illecita (caporalato) ci deve indurre a qualche riflessione. Se i gradi successivi di giudizio la confermeranno, avremo prima di tutto la conferma che anche sotto la facciata più rispettabile si può annidare il crimine (chiamiamo le cose con il loro nome più appropriato), quando si mette davanti a ogni valore l’interesse economico.
Poi, dovremo tutti prendere atto che lo stato di marginalizzazione estrema in cui vive la maggior parte dei braccianti che raggiungono il Saluzzese per la raccolta della frutta è la prima condizione per il determinarsi di condotte di sfruttamento. Mi auguro che da queste riflessioni possa scaturire l’impulso a rendere più umane le condizioni di vita di queste centinaia di persone, che soltanto il bisogno e il desiderio di lavorare spingono a raggiungere il nostro territorio.
Riprendiamo anche il commento di Caritas Italiana e del Direttore nazionale, Don Pagniello, che sottolinea:
La sentenza di condanna in primo grado per sfruttamento lavorativo e caporalato emessa dal Tribunale di Cuneo contro quattro imprenditori locali ed un bracciante rappresenta “un passaggio significativo nel complesso e difficile percorso che si sta compiendo in Italia per debellare un fenomeno che da anni affligge anche il settore dell’agricoltura, e costringe migliaia di persone, lavoratori e lavoratrici soprattutto stranieri, a prestare la loro attività in condizioni disumane e degradanti”. Lo afferma Caritas italiana.
Nel 2015, grazie alla sollecitazione di molte diocesi italiane tra cui quella di Saluzzo, la Caritas italiana ha avviato il progetto nazionale Presidio, con l’obiettivo di intervenire efficacemente nell’ambito dello sfruttamento lavorativo. Un lavoro che ha permesso di tutelare, accompagnare ed assistere tanti lavoratori e lavoratrici in evidente stato di bisogno, ma anche di accendere i riflettori su un tema così delicato e spesso invisibile, sensibilizzando le comunità e favorendo il dialogo con le Istituzioni locali e nazionali.
La decisione del Tribunale di Cuneo e il riconoscimento di una filiera di sfruttamento anche in luoghi fino a qualche anno fa impensabili, riconosce gli sforzi di questi anni ed il lavoro portato avanti con serietà e coraggio dagli operatori e dalle operatrici del progetto Presidio. “Ancora una volta – sottolinea don Marco Pagniello, direttore di Caritas italiana – la Chiesa sceglie di stare accanto a quanti si trovano a vivere una condizione di emarginazione e sfruttamento, sostenendo i progetti e le imprese virtuose, tutelando i diritti degli ultimi e contribuendo alla costruzione di una società più giusta ed equa”.