Ostacoli e speranze (parte 2)
Oggi la casa della famiglia di Rama e Mengstab è Saluzzo dove i primi nomi che hanno imparato sono Virginia, Alessandro, Gioele (gli operatori della nostra Caritas che li hanno portati qui tre anni fa), insieme a quelli dei volontari (Paola, Stefano, Graziella e Piero). In città da qualche mese li abbiamo aiutati a cambiare casa, per aggiungere una stanza per il nuovo nato. "Nostro figlio più grande - racconta Rama - chiama "nonna" Graziella" (un'ex insegnante che l'ha aiutata con l'italiano). Dopo tre anni il loro percorso verso l'integrazione è tutt'altro che privo di difficoltà.
LEGGI LA PARTE 1 "DA PROFUGHI AD ACCOLTI"
Il primo ostacolo è la lingua (lei ha ottenuto la licenza media ed entrambi hanno seguito i corsi al C.P.I.A.) poi la ricerca del lavoro (Rama ha frequentato un corso sulla somministrazione e uno sull’accoglienza in strutture ricettive, suo marito invece sta prendendo la patente e attraverso la Caritas ha trovato un tirocinio di 4 mesi presso una ditta di elettronica, ma è stato l'unico impiego di quest'anno, così due volte a settimana fa il volontario nell'Emporio della Solidarietà).
A questi si aggiungono i problemi con i documenti: il passaporto di lei (che sta rinnovando un permesso di ricongiungimento famigliare con il marito e i figli, tutti titolari dello status di rifugiati politici / asilo) è stato smarrito in Sicilia e il rimpallo tra le Questure blocca la richiesta di rinnovo ("senza documenti è come stare in prigione" dicono, aggiungendo “vogliamo rimanere qui, ma prima dobbiamo aggiustare il passaporto").
Un punto fermo per il loro presente e futuro è la scuola : "è importante per i bambini - dicono - e anche per noi, per imparare la lingua" così come l'aiuto di Caritas : "conosciamo delle famiglie - raccontano - persone di Caritas, di Saluzzo, sono sempre tutti molto gentili con noi".
L’integrazione, invece, passa attraverso la relazione con le persone e le opportunità di frequentare la comunità. Rama ha conosciuto, ad esempio, l’Associazione Penelope che l’ha coinvolta nelle sue attività, vista la sua passione per il telaio e il cucito.
La speranza, questa volta nostra, è che i loro Paesi d'origine possano finalmente conoscere la pace che hanno iscritto nel nome del loro ultimo figlio. E per loro, che si aprano nuove opportunità di inclusione attraverso il contatto con la comunità saluzzese, oltre a nuove prospettive di lavoro.
La nostra Caritas è sempre alla ricerca di volontari che vogliano sostenere percorsi di accoglienza come i "Corridoi Umanitari". Per chi volesse conoscere questa famiglia e aiutarli in qualche modo (nella ricerca di un impiego, con qualche ora di chiacchierate in italiano o semplicemente organizzando una gita insieme per scoprire il territorio) può scriverci a info@caritassaluzzo.it
Da profughi ad accolti (parte 1)
Il governo di Dio sulla terra, persona di buon cuore, uomo di grande forza, pace: hanno significati suggestivi i nomi della famiglia arrivata a Saluzzo tre anni fa grazie ai "Corridoi Umanitari". Padre, madre, due maschietti di 6 e un anno: nelle loro lingue natie (amarico in Etiopia e tigrino in Eritrea) l'espressione della speranza per una vita che qui prova a ripartire.
L’ARRIVO IN ITALIA
Sono ricchi di gratitudine i sorrisi di Rama e Mengstab, i due genitori, quando raccontano dell'accoglienza ricevuta grazie alla Caritas. L'Italia l'hanno conosciuta passando da Fiumicino alla Sicilia, qualche mese con Caritas Agrigento poi Saluzzo. Tappe di un approdo sicuro, creato dal progetto "Corridoi Umanitari", avviato nel 2015 dalla CEI e dalla Comunità di Sant'Egidio, prima dalla Giordania poi nel 2018 dall'Etiopia e dal Niger.
Un'iniziativa coordinata e proposta da Caritas Italiana alla quale la nostra Diocesi ha aderito per creare vie sicure e legali, permettendo a famiglie particolarmente vulnerabili conosciute da Caritas nei campi profughi, di raggiungere l'Europa per fare domanda di asilo, senza rischiare la morte e la tratta durante il viaggio.
Sul volo per Roma la famiglia, partita da un campo etiope nella regione del Tigray dove hanno vissuto insieme a profughi eritrei, sudanesi e somali, aveva occupato tre posti. Oggi c'è un nuovo arrivato che proprio a fine settembre, in coincidenza con la Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato (26 settembre), ha spento la sua prima candelina.
DA UNA VITA NORMALE AL CAMPO PROFUGHI
Rama, 34anni, originaria dell'Etiopia, vendeva mobili di seconda mano, in tasca un diploma come tecnico di laboratorio. Della sua terra natale racconta
con estrema minuzia il rito del caffè, che in quelle valli ha trovato la sua culla, e conserva con grande cura una brocca tradizionale per servirlo (tra le poche cose che, ammette, sono riusciti a portare nel viaggio verso l'Italia).
Mengstab, 49 anni, è nato in Eritrea e ad Addis Abeba faceva il giornalista in una testata dell'opposizione alla dittatura. Di qui le motivazioni della persecuzione, la fuga per tenere al sicuro i suoi cari e gli anni durissimi nel campo profughi dove è nato il primo figlio. Come tutti gli eritrei, infatti, ha dovuto sottostare alla leva militare obbligatoria che inizia a 16 anni e dura tutta la vita. Spostarsi autonomamente è impossibile: il passaporto e l’autorizzazione a lasciare il Paese devono essere concessi dal governo. Varcare il confine senza permesso è un reato che comporta minacce e persecuzioni per sé e la propria famiglia. Dopo la fuga in Etiopia, l’attività giornalistica lo porta a spendersi per la causa dei rifugiati politici eritrei contro il governo di Afeweki. Anche per questo motivo è stato scelto come beneficiario dei Corridoi Umanitari.
Entrambi descrivono l’Etiopia e l’Eritrea come Paesi molto simili, accomunati da culture e scambi, dove la popolazione si divide tra una moltitudine di etnie, in una convivenza pacifica, anche tra cattolici e musulmani (la loro religione).
Oggi l'Etiopia è un Paese martoriato dalla guerra scoppiata un anno fa quando a seguito di una tornata elettorale non autorizzata in cui aveva vinto il Fronte per la liberazione del Tigray, l’esercito etiope ha attaccato la regione con l’aiuto di quello eritreo e delle milizie di etnia ahmara. Un conflitto che ha reso disumana la vita nei campi profughi (l’UNHCR ha più volte denunciato l’assenza di forniture e servizi per mesi, la mancanza di accesso all’acqua potabile con il conseguente proliferare di malattie).
Inoltre l'apertura del confine con l’Etiopia ha consentito l’ingresso delle milizie eritree e della spie della dittatura (da quando ha conquistato l’indipendenza nel 1993, dopo oltre 30 anni di guerra, l’Eritrea è di fatto una dittatura totalitaria nelle mani dell’unico presidente Isaias Afwerki). Amnesty International ha denunciato la sparizione dai campi profughi di dissidenti politici fuggiti dal Paese (tra loro anche persone selezionate dalla Cei per i Corridoi Umanitari che infatti si sono bruscamente interrotti).
Continua ...
LEGGI L'ARTICOLO "OSTACOLI E SPERANZE - PARTE 2"
Progetto Ubuntu: parla il Vescovo
Riportiamo di seguito il messaggio del Presidente della nostra Caritas, Mons. Cristiano Bodo, di cui è stata data lettura giovedì 15 luglio in occasione della presentazione del progetto "UBUNTU - Io sono perché noi siamo (in lingua bantu)" promosso dal Comune di Saluzzo (capofila), in collaborazione con il Consorzio socio-assistenziale Monviso Solidale e la Caritas diocesana di Saluzzo. Il progetto, avviato dal giugno 2021, si concluderà a dicembre 2022 grazie al contributo di Fondazione Compagnia di San Paolo, Fondazione CRC e Fondazione De Mari attraverso il bando "Territori Inclusivi".
Il progetto punta all'integrazione delle persone con background migratorio attraverso azioni inerenti la comunicazione, il sostegno all'inserimento abitativo e la formazione di volontari e operatori del terzo settore.
"Nelson Mandela scrisse che “In Africa esiste un concetto chiamato Ubuntu, il cui senso profondo è che noi siamo uomini solo grazie all'umanità altrui e che se, in questo mondo riusciamo a realizzare qualcosa di buono, il merito sarà in egual misura anche del lavoro e delle conquiste degli altri”
Sempre Mandela affermò che “Una persona che viaggia attraverso in Africa se si ferma in un villaggio non ha bisogno di chiedere cibo o acqua: subito la gente le offre del cibo, la intrattiene. Ecco, questo è un aspetto di Ubuntu, ma ce ne sono altri. Ubuntu non significa non pensare a se stessi; significa piuttosto porsi la domanda: voglio aiutare la comunità che mi sta intorno a migliorare?”
Ubuntu è un’etica dell’Africa sub-Sahariana dalla quale provengono la maggior parte dei braccianti agricoli che ogni anno raggiungono il Saluzzese per la raccolta stagionale della frutta e che rappresentano la maggior parte delle persone con background migratorio presenti nel nostro territorio.
Questa etica, che si focalizza sulla lealtà e sulle relazioni reciproche tra le persone, sulla “benevolenza verso il prossimo” come dal suo significato in lingua bantu, è una regola di vita, basata sulla compassione, il rispetto dell’altro, che molto ha a che fare con la missione della nostra Caritas.
Nell’ambito di questo progetto, la Caritas diocesana di Saluzzo intende portare avanti, in sinergia con il Comune (in qualità di capofila) e il Consorzio Monviso Solidale, una serie di azioni volte a creare le precondizioni (dal punto di vista della comunicazione, dell’integrazione abitativa e della formazione di operatori e volontari del terzo settore) affinché la nostra comunità sia pronta a maturare lo spirito di Ubuntu.
Il motto «Io sono perché noi siamo» ci esorta a sostenerci e aiutarci reciprocamente, a prendere coscienza non solo dei diritti, ma anche dei doveri, poiché è una spinta ideale verso il riconoscimento di un legame comune, che genera comunità.
Il concetto di Ubuntu, che attraverso Mandela è divenuto uno dei principi fondamentali della nuova repubblica del Sud Africa, è lo stesso connesso con l’idea di un Rinascimento Africano che non pare molto lontano dallo spirito di ricostruzione che respiriamo nel periodo Covid.
La necessità di costruire una comunità inclusiva, per la nostra Caritas punterà sull’inclusione e l’autonomia abitativa delle persone migranti coinvolte nel progetto, attraverso l’attivazione di una rete fatta da operatori e volontari, formati attraverso azioni sinergiche con il Consorzio Monviso Solidale. Queste persone saranno accompagnate, attraverso forme di intermediazione immobiliare solidale e sussidi all’affitto, verso una stabilizzazione della loro presenza, che possa consentire anche una mutazione del racconto e della percezione delle persone migranti nella popolazione saluzzese, grazie alle azioni di cambiamento narrativo poste in essere con il Comune.
Creare un territorio inclusivo, per la Caritas diocesana di Saluzzo, significa costruire le condizioni affinché le persone migranti possano esprimere se stesse, sradicare stereotipi e pregiudizi attraverso azioni di comunicazione mirate alla popolazione locale ed ai professionisti del settore, inserire le persone migranti nel tessuto socio-economico attraverso il lavoro, la casa, relazioni di aiuto significative.
Grazie alle risorse messe a disposizione dalla Compagnia di San Paolo, dalla Fondazione CRC e dalla Fondazione De Mari attraverso questo progetto, la Caritas diocesana proverà con i suoi operatori e volontari ad essere parte attiva di quella comunità che, grazie ad una rete sinergica, potrà costruire un cambiamento inclusivo del territorio.
Ubu significa “ciò che avvolge, l’unità”, “essere”. Ntu rimanda all’azione dello sviluppare, del divenire. La Caritas diocesana, in questo progetto, vuole provare a diventare una parte di un’unità (fatta da tanti soggetti) che possa sviluppare una costruzione del senso di comunità sempre più inclusivo verso chi ha scelto, per motivi di vita, lavoro, relazioni, di diventare parte di questo territorio."
Il Vescovo sui 50 anni della Caritas
Pubblichiamo la riflessione del Vescovo di Saluzzo, Monsignor Cristiano Bodo, Presidente della nostra Caritas, dal titolo "Fraternità contemplativa e Caritas" in occasione del 50esimo anniversario della Caritas Italiana.
"É necessario che in ogni epoca vi siano degli innamorati di Dio, con tutte le forze, amarlo unicamente, diventa la scopo fondamentale della vita dell’uomo, il primo e più grande comandamento!
É necessario che in ogni epoca dei “folli di Dio”, capaci di imitare e contagiare gli altri, capaci di contagiare gli altri per suscitare uomini e donne che cercano Dio e la realizzazione della loro vita.
Ecco la “Caritas”, promuove questo cammino, attraverso la testimonianza del vangelo, che si incarna nel tessuto della vita tra gli uomini.
Il primo ad attuare questo nella nostra Italia fu Mons. Giovanni Nervi, dopo che Papa Paolo VI, istituì la “Caritas”, il quale scriveva: “la Caritas deve promuovere nella Chiesa la scelta preferenziale dei poveri, banco di prova per verificare quanto effettivamente la carità è presente nella Chiesa”.
Sappiamo di dover essere una sfida al compromesso con la mentalità del nostro tempo, così materialistica, una sfida ad ogni mediocrità e misura riduttiva di vivere il Vangelo.
Consapevoli di non essere sempre all’altezza di dare un buon esempio all’uomo di oggi.
Il Vangelo al centro del nostro cammino pastorale, alla luce della lettera pastorale:
“Fraternità contemplativa”, diventa per la “Caritas diocesana”, l’impegno di continua conversione, in uno stile di vita più sobrio e umile.
Dilatando il nostro cuore in una smisurata capacità di amore verso Dio e verso il prossimo rendendoci fratelli e sorelle, padri e fratelli, di tutti gli uomini e donne.
Senza dimenticare che la più grande carità anche se a volte ci dimentichiamo è la preghiera che coinvolge tutta l’umanità e dà voce a Dio nel mondo.
Prima ho usato audacia, perché mi sembra quello che davvero meglio esprime la fortezza oggi necessaria per osare di mettersi all’opposto della mentalità corrente.
Un filosofo contemporaneo afferma: “I tempo della notte del mondo è il tempo della povertà, perché diviene sempre più povero al punto di non poter riconoscere la mancanza di Dio come mancanza” (Heidegger).
“Noi osiamo sperare, sperare tenacemente, mentre, piangendo, gettiamo nel solco la nostra piccola vita e attendiamo, come il contadino del Vangelo, di veder spuntare i germogli della nuova stagione … perché la carità è miracolo (Madre Canopi).
La Caritas è il segno più vero della presenza di Dio nella vita del mondo, nella nostra società e nel mondo che grida: “Ho fame …”.
Promuoviamo una strada per far crescere il seme che dia un raccolto abbondante e doni all’umanità il necessario per vivere e attualizzare il Vangelo della carità nel nostro oggi.
Camminiamo insieme, nella fraternità, Vescovo e preti, suore e diaconi, cristiani e laici, per stimolare tutti alla solidarietà, e vivere il Vangelo per annunciarlo all’uomo del nostro tempo.
Auguriamoci un cammino fruttuoso."
Cristiano, Vostro Vescovo
Visita del Vescovo a Casa Mons. Bona
Martedì 6 luglio il Vescovo di Saluzzo, Monsignor Bodo, ha visitato il cortile, la cappella e gli spazi di Casa Monsignor Bona, pranzando con Frate Andrea Nico Grossi, i volontari della Comunità Cenacolo e un giovane operatore dell'Associazione AVASS (associazione dei volontari Caritas).
La visita è stata l'occasione per un aggiornamento sulla situazione dell'accoglienza che era stata riaperta il 25 marzo. A tre mesi di distanza, nel Dormitorio in corso Piemonte 63 sono ospitate 10 persone su 11 posti letto disponibili, esclusivamente maschili. Si tratta di braccianti africani (cinque persone), ma anche persone senza dimora di nazionalità italiana, indiana e romena, alcuni con problemi di dipendenze o usciti da poco dal carcere. Alcuni sono stati indirizzati da altre Caritas come quella della Valle Po oppure già conoscevano il servizio per via della distribuzione dei pasti negli anni passati. L'ospitalità è garantita loro per un mese, durante il quale oltre ad un posto letto hanno a disposizione la lavanderia e il servizio Mensa.
A pranzo sono fra le 50 e le 60 le persone che trovano posto nel cortile di corso Piemonte 63 dove, nel rispetto del distanziamento anti Covid, sotto i gazebo vengono distribuiti i pasti preparati da Frate Andrea Nico Grossi della Fraternità di San Bernardino, aiutato dai volontari della Comunità Cenacolo che in due risiedono stabilmente nella struttura. Frate Andrea pone particolare cura e rispetto attraverso il servizio mensa, garantendo alternative ai commensali che in questo periodo sono in maggioranza braccianti stagionali di fede musulmana. A cena prima veniva dato un piatto da asporto, ora per dare più dignità, i commensali vengono fatti accomodare sotto i gazebo con un vassoio con pasta, frutta e pane. In totale in questo periodo sono quindi 100 / 120 i pasti distribuiti dalla Mensa.
Mons. Bodo si è complimentato per il rifacimento del cortile e della cappella oltre che per la gestione dell'accoglienza. Il Vescovo ha raccolto i bisogni portati dai volontari, legati soprattutto alla necessità di reperire materie prime per la mensa (in particolare carne), ma anche prodotti per la pulizia della casa e l'igiene personale, così come asciugamani da bagno dal momento che il servizio docce rimane aperto anche per i braccianti stagionali, con la collaborazione degli operatori del progetto Saluzzo Migrante.
Ancora una volta Mons. Bodo ha ribadito l'importanza che questo servizio ricopre per l'aiuto alle persone in difficoltà nel territorio diocesano, confidando che la comunità dia segno della sua storica solidarietà, sia attraverso il volontariato in Mensa sia attraverso un supporto materiale.
Frate Andrea Nico Grossi:
C’è un bel rapporto e un bel clima con i giovani operatori di Saluzzo Migrante che si occupano anche di questi ragazzi. La Mensa vorremmo che appartenesse al territorio, anche attraverso la presenza di volontari che, con criterio (visto il Covid), possano entrare a darci una mano. Anche la Mensa è uno straordinario strumento di evangelizzazione.
Per sostenere la Casa di Prima Accoglienza: Sostieni - Caritas Saluzzo
Per candidarsi come volontari: Volontari - Caritas Saluzzo
Chiusura estiva raccolta abiti
Avvisiamo che nei mesi di luglio e agosto il nostro servizio di raccolta e distribuzione di abiti in via Maghelona 7 (con il ritiro del materiale il mercoledì dalle 9 alle 11 e la distribuzione il giovedì dalle 9 alle 11) sarà CHIUSO.
Resterà invece regolarmente aperta la boutique "Ri-Vestiti" in via Volta 8 dove, a fronte di una piccola donazione, è possibile trovare abiti, accessori e scarpe di seconda mano.
Come sempre le donazioni raccolte saranno gestite dal Centro di Ascolto per l'attivazione di borse lavoro a sostegno delle persone in difficoltà seguite dai nostri volontari.
"Ri-Vestiti" rimane aperta il martedì dalle 9 alle 12, il mercoledì e il venerdì dalle 16 alle 19.
Esperienze con il progetto Apri (3)
K. è stato intercettato dal Presidio Saluzzo Migrante nel 2018, quando dormiva nel dormitorio “PAS - Prima Accoglienza Stagionali” creato quel primo anno dal Comune di Saluzzo. Gli operatori lo hanno incontrato perché aveva iniziato a manifestare una serie di forti dolori e dopo diversi accertamenti medici, grazie all’Ambulatorio Medico Stagionali, gli è stata diagnosticata una tubercolosi ossea.
Per tutto il 2019, K. ha affrontato una lunga serie di esami medici nel reparto per le malattie infettive dell’ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo, iniziando una terapia portata avanti anche nel corso del 2020. Nonostante abbia trovato lavoro in agricoltura, la malattia gli impedisce di fare lavori pesanti, tanto da prefigurare una richiesta per l’invalidità che gli permetterà di trovare un inserimento lavorativo più adatto alle sue precarie condizioni di salute.
Una buona notizia è che nel frattempo K. ha finalmente ottenuto il rilascio della carta d’identità e nei prossimi mesi potrà sostenere l’esame per la patente di guida.
Qui a Saluzzo è conosciuto come “il barbiere della comunità africana”, ma in Costa d’Avorio faceva il meccanico per motorini e auto, arrivando ad aprire un’officina di riparazioni tutta sua.
Enzo Paolo, pensionato e tutor di K., racconta le motivazioni che lo hanno spinto a diventare volontariato per il progetto “Apri” che oggi attraverso la Caritas di Saluzzo coinvolge 11 migranti residenti da tempo sul territorio:
È la prima volta che faccio volontariato: mi sono avvicinato perché mio figlio ha fatto 6 mesi di tirocinio con il Presidio Saluzzo Migrante e mia figlia ha deciso di vivere l’esperienza di coabitazione con altri giovani nel cohousing “Casetta”. Attraverso loro ho conosciuto la Caritas, le persone che aiuta e ho dato la mia disponibilità. “Apri” è una bella esperienza che mi ha aperto la strada ad una nuova vita dopo la pensione.
Incontrare K. è stata un’esperienza bella per aprire gli occhi: mi sono un po’ buttato nell’insegnamento dell’italiano, a seconda di quello di cui aveva bisogno. A volte abbiamo studiato e fatto i compiti di italiano assieme, altre volte dei giri in macchina per imparare i cartelli stradali che fino ad allora aveva studiato solo sul libro di teoria per la patente”.
Leggi l'esperienza di Marisa - Esperienze con il progetto Apri (1) - Caritas Saluzzo
Leggi l'esperienza di Giulia - Esperienze con il progetto Apri (2) - Caritas Saluzzo
Esperienze con il progetto Apri (2)
Anche D., 23enne originario del Mali, è uno dei beneficiari del progetto “Apri” attivato dalla Caritas di Saluzzo su invito di Caritas Italiana che nel 2020 ha lanciato questo modello innovativo di integrazione, centrato sulla figura di famiglie e singoli tutor.
Giulia, coetanea saluzzese, ha scelto di mettersi in gioco come tutor, seguendo D. che ha solo un anno di differenza.
Racconta Giulia :
L’ho conosciuto qualche anno fa quando dormiva al Foro Boario di Saluzzo, come tutti gli altri e mi ha colpito : un po’ perché è molto giovane, un po' perché preparava sempre il tè, creando un clima gioviale attorno a lui.
Negli anni in cui ho fatto la volontaria in Saluzzo Migrante ho conosciuto meglio D. e grazie al mio francese imparato in Erasmus abbiamo iniziato a conoscerci, raccontandoci molte cose.
Mi colpì subito la sua enorme dignità ai tempi dell’occupazione illegale di un capannone, quando lui aveva deciso di dormire fuori su un cartone, in disaccordo con il resto dei migranti.
Aveva il desiderio di restare e non seguire il flusso stagionale di braccianti che dopo Saluzzo andavano a Rosarno, dove ha visto molti amici morire negli incendi delle baraccopoli o addirittura un ragazzo ucciso perché prendeva un pezzo di lamiera per costruirsi un riparo.
D. ha uno spiccato interesse per la geopolitica : gli interessa capire cosa succede in Africa.
Una volta entrato in contratto con la famiglia di Giulia, per D. si è aperta la possibilità di affittare un monolocale di loro proprietà, dove attualmente vive. Questa opportunità gli ha permesso di vivere la prima esperienza di una vera casa, anziché dormire sui cartoni in strada o in una baracca in mezzo alle campagne, come purtroppo ancora capita anche ai migranti che hanno un contratto.
Grazie a Saluzzo Migrante, D. ha poi trovato un tirocinio in un vivaio nel quale lavora da un paio di mesi. I datori di lavoro si sono detti molto contenti di lui e di come lavora: si prospetta un'assunzione se vorrà rimanere e se ci saranno le condizioni.
Nel corso degli anni trascorsi a Saluzzo, è riuscito ad ottenere la patente pur vivendo al Foro Boario, studiando la teoria alla luce di un lampione. Tra i suoi obiettivi c’è quello di prendere la licenza media, facendo un corso serale, e migliorare l'italiano per ampliare le sue relazioni sul territorio.
Giulia commenta così quelli che considera i punti di forza del progetto “Apri”:
Sicuramente è un’occasione in più per rinforzare i rapporti di D. qui a Saluzzo, anche con la mia famiglia, perché ci sono più punti di riferimento, Anche su aspetti pratici come l’assicurazione dell’auto o la busta paga, il fatto di avere qualcuno a cui chiedere un aiuto perché c’è una relazione molto famigliare e orizzontale, permette di allargare la rete sociale e i punti di riferimento. Non a caso chiamo D. “doko” che in bambarà significa “fratello più piccolo”.
Sicuramente la disponibilità economica che il progetto “Apri” crea è molto utile per potersi concentrare su altre dimensioni della vita che non siano solo mangiare e pagare l’affitto. È una stampella molto importante che gli permette di fare altre cose.
La messa a disposizione del tutor che può dedicargli tempo e stare con lui è un altro pezzo fondamentale.
Da quando D. ha la stabilità abitativa vedo in lui tanti cambiamenti: è come se lo capacitasse. Raggiunto il desiderio di avere una casa, ora è più libero di agire, anche da cose che non vuole più fare. Questa condizione gli ha dato la forza di agire, mettersi al centro della propria vita diventando più consapevole, più libero.
Il progetto “Apri” di Caritas Italiana mette infatti a disposizione dei fondi utilizzabili per vari tipi di supporto alla persona migrante, già stabile da tempo sul territorio, per incentivare la sua integrazione. Dal corso per la patente all’attivazione di una borsa lavoro o di un tirocinio. Un supporto quindi sia relazionale, grazie ai tutor, sia economico, che consente ai beneficiari di superare la precarietà dovuta alla ricerca di un lavoro e di una casa, per potersi concentrare sul costruire una rete sociale di supporto, sviluppare competenze trasversali, professionali e linguistiche.
Leggi l'esperienza di Marisa- Esperienze con il progetto Apri (1) - Caritas Saluzzo
Leggi l'esperienza di Enzo Paolo - Esperienze con il progetto Apri (3) - Caritas Saluzzo
Esperienze con il progetto Apri (1)
Anche la Caritas di Saluzzo ha attivato il progetto “Apri”, avviato a livello nazionale nel 2020 da Caritas Italiana grazie ai fondi CEI. Ad oggi “Apri” coinvolge 50 Diocesi, 500 accoglienze e circa 200 famiglie tutor con l’obiettivo di creare migliori condizioni di inclusione per migranti già presenti sul territorio da tempo in Italia, che necessitano di rafforzare il loro percorso di autonomia, oltre a sensibilizzare le comunità all’accoglienza.
A Saluzzo la Caritas ha accolto la visita di Paolo Pagani di Caritas Italiana, referente del progetto “Apri” per il Nord Italia, che ha incontrato le varie Diocesi coinvolte nella Granda per monitorare l’andamento del tutoraggio da parte di famiglie e singoli, il rapporto con i beneficiari, ragionare insieme rispetto agli accompagnamenti e capire come il progetto possa ulteriormente migliorarsi.
Accompagnato dagli operatori della Caritas di Saluzzo, Pagani ha incontrato diversi tutor volontari. Tra loro c’è Marisa, di Verzuolo, che ha aderito ad Apri per dare il suo supporto a J., giovane mamma originaria del Ghana, arrivata in Italia per un ricongiungimento con il marito che alcuni anni fa ha abbandonato lei e i figli di 6 e 8 anni.
Inizialmente la Caritas di Verzuolo, di cui Marisa è volontaria, ha dato loro un primo sostegno inserendo mamma e bimbi in un appartamento gestito dalla Cooperativa sociale La Tenda di Fossano, che si occupa dell’inserimento abitativo di persone fragili.
Oggi la priorità per J. è la ricerca di un lavoro che possa garantirle un’indipendenza economica e la possibilità di pagare un affitto. Nel frattempo sta seguendo il corso di livello A2 di italiano presso il C.P.I.A. di Verzuolo e vorrebbe iscriversi ad un corso di formazione professionale per avere qualche chance in più nella ricerca di un lavoro.
Grazie ad “Apri” è stato possibile acquistare per J. un tablet che ha aiutato i suoi bambini nella didattica a distanza e prossimamente Marisa la aiuterà ad iscriverli ad un corso sportivo per socializzare con altri coetanei e dare la possibilità a J. di avere qualche ora a disposizione per la ricerca del lavoro.
Marisa descrive così la sua esperienza di tutor in “Apri”:
Quello che mi stupisce di J. è il suo grande impegno ed è quello che mi sprona ad aiutarla. Quando le si dà una possibilità, ce la mette tutta, ma proprio tutta. É una gran lavoratrice, una donna che non ha paura di faticare, anche fisicamente, ma al di là del lavoro agricolo non ha mai avuto altre esperienze.
L’ho conosciuta tramite il Centro d’Ascolto della Caritas di Verzuolo, quando il marito è sparito e lei si è ritrovata senza casa, senza soldi, con due bambini piccoli. Eppure anche in quella situazione, lei non si è lasciata abbattere dalle difficoltà, trasmettendo la sua grande energia attraverso una visione alta della vita.
Per me “Apri” è soprattutto l’incontro con una persona che ti apre la mente perché, prima, ti ha aperto il cuore.
Paolo Pagani commenta il progetto “Apri”:
L’idea, come dice Marisa, è proprio quella di contaminarsi attraverso le conoscenze.
Il valore aggiunto importante di Apri è la relazione tra persone perché fino a quando un migrante sta nei centri d’accoglienza trova educatori, assistenti sociali, Questura, anagrafe ... tutti operatori dedicati ad una relazione d’aiuto. La relazione che invece si viene a creare in “Apri” è una rapporto in cui non ci sono “gerarchie” o forme di potere, dove ci si sente sullo stesso piano. Per un migrante è importante avere dei rapporti con persone che lo aiutano gratuitamente, non perché devono, non perché sono pagate o ci guadagnano qualcosa. Questo è l’aspetto che cambia la vita di queste persone e quanto stiamo raccogliendo dai tutor in giro per l’Italia: il valore della relazione nel rapporto tra pari.
Elena Gallamini, operatrice della Caritas di Saluzzo, che segue questo progetto:
Ho visto un grande cambiamento nei 9 beneficiari coinvolti in “Apri”: essere soli in un territorio, psicologicamente rappresenta un ostacolo per un migrante, ma il solo fatto di avere qualcuno al quale rivolgersi aiuta a sentirsi più forti perché ci si sente parte della comunità in cui si vive.
Leggi l'esperienza di Giulia - Esperienze con il progetto Apri (2) - Caritas Saluzzo
Leggi l'esperienza di Enzo Paolo - Esperienze con il progetto Apri (3) - Caritas Saluzzo
L'attività del Centro d'Ascolto
Il Centro d'Ascolto per ogni Caritas rappresenta il primo punto di incontro con la fragilità e la storia delle persone sostenute dalla nostra Diocesi attraverso quest'azione pastorale. In via Maghelona 7, nel cuore del centro storico di Saluzzo, si incrociano i bisogni di italiani e stranieri caduti in una povertà non solo materiale e l'ascolto dei volontari come Cetta Berardo che qui mette a disposizione la sua formazione da counselor.
Nel Centro di Ascolto si accoglie la persona con un colloquio nel corso del quale il volontario compila una scheda costituita da varie parti: una anagrafica, una relativa al lavoro e la terza sulle relazioni sociali / dipendenze e/o malattie. La scheda viene poi caricata all'interno di un database fornito da Caritas Italiana che offre una "mappa dell’esclusione": una sorta di cerchio che si compone di tante parti che mettono in evidenza lo stato di povertà della persona.
Come rilevano i volontari, spesso non si tratta solo di una povertà economica (fragilità già molto presente in tante fasce della popolazione), ma anche di una povertà culturale ed esistenziale.
Spiega Cetta Berardo:
Abbiamo rilevato questa fotografia graze al ruolo rivestito come Centro d’Ascolto nel periodo della pandemia, nel corso del quale abbiamo avuto contatti diretti con poche persone, ma ne abbiamo avuti molti al telefono. Questi colloqui hanno messo in evidenza come la povertà esistenziale fosse veramente superiore a quella economica. Un tipo di povertà difficile da colmare, così come il gap culturale : si pensi alla fetta di persone che sono fuori dal mercato del lavoro, che non hanno competenze e non riusciranno a reinserirsi in breve tempo.
Il ruolo del Centro d’Ascolto è stato rilanciato nell'ultimo anno a livello nazionale: quest’anno corre il 50 esimo della Caritas Italiana, fondata da Paolo VI nel 1971 e in preparazione di questo anniversario sono stati organizzati seminari e webinar proprio sul significato del Centro d’Ascolto.
Il Centro d’Ascolto non è solo un luogo fisico in via Maghelona 7, ma può diventare anche "mobile", attraverso il telefono, un incontro in strada ... perché, come spiega Cetta Berardo
L’ascolto significa accogliere la persona senza giudizi e pregiudizi. È difficile nella realtà concretizzare tutto questo, come ribadito dalla CEI e partendo dall’articolo 1 dello Statuto della Caritas che contiene la mission del Centro d’Ascolto. Questo articolo ci dice che è importante mettere al centro dell’ascolto la persona con la sua dignità, accolta con un fine utile, superando il pietismo alla base dell’assistenzialismo. Attraverso la comprensione e la compassione, che secondo l’etimologia latina e addirittura greca è quello della sympathia, è possibile entrare dentro il problema della persona e provare a capire qual è il suo bisogno.
Non sempre, infatti, i bisogni che ascoltiamo sono economici: è vero, c’è l’urgenza, della bolletta, della luce che viene staccata, del lavoro che non si trova, domande alle quali possiamo rispondere in minima parte. Attraverso una serie di colloqui che richiedono il giusto tempo, cerchiamo di capire quali sono i veri bisogni della persona al di là dell'urgenza materiale, di trasmettere una speranza e capire là dove ci sono delle risorse, come attivarle, aiutando la persona a definire un nuovo progetto di vita. Si tratta di sfide in situazioni di multi problematicità, legate da una rosa di problemi concatenati tra loro.
Un esempio di questo è il progetto "Ripartire Insieme" che, grazie ad un fondo della Cassa di Risparmio di Asti ha consentito tra il 2020 e il 2021 di erogare da parte del Centro di Ascolto della Caritas diocesana circa 800 buoni spesa.
Spiega Cetta Berardo:
Tra i buoni abbiamo inserito anche quelli per la cura della persona, importante per chi passa dal mondo dell’invisibile al visibile. I poveri non hanno soltanto bisogno di riempire la pancia: alcuni vanno riportati alla dignità, altri sono persone insospettabili che hanno alle spalle situazioni complicate. Il Centro di Ascolto non si occupa di dare soluzioni: deve essere la persona a decidere se tornare nel mondo che lo ha escluso o uscire dalla marginalità. I volontari del Centro di Ascolto aiutano a far venir fuori le loro risorse: come la mamma con 5 bambini che riesce a sfamarli tutti anche se ha poco. Come Centro di Ascolto cerchiamo di mostrare loro queste risorse , soprattutto perché spesso sono persone con un’autostima bassissima, non riescono a vedere soluzioni.
Non a caso l'ultima epistola di Papa Francesco, dedicata a Dante, ci ricorda come gli strumenti culturali possono essere di grande aiuto per creare un ponte con la fragilità, soprattutto per i bambini e gli adolescenti.
Di seguito i dati del Centro d'Ascolto relativi all'anno 2020